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Progettare per Hennebique, primo edificio in cemento armato d’Italia, non può prescindere dal riconoscerne l’intrinseca natura di “edificio-macchina”: 210 metri di lunghezza, 210 pilastri, 110 anni di continue trasformazioni.
Costruito fra la terra e il mare, non appartiene a nessuno dei due. Le proporzioni sono di nave, la natura è di edificio-macchina trattenuto al molo da una fitta selva di pilastri. Progettare per Hennebique vuol dire immaginare una nuova trasformazione, che muterà ancora, e funzioni che lo abiteranno in modo dinamico.
La luce naturale ripercorre, attraverso quattro grandi vuoti da cielo a terra e al piano del suolo, i soli due assi lungo i quali per un secolo è stato attraversato l’edificio, quello verticale dei silos e quello orizzontale dei binari. Alla rigidità dello spazio cartesiano, ridefinito dalla sottrazione di volume, si contrappone la libera attraversabilità degli spazi espositivi e delle funzioni in una logica non sequenziale ma ipertestuale, che moltiplica interferenze e reciproci rimandi fra le parti.
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